Une Croix de Lys, di Davide Gorga

Il 30 maggio si ricorda la memoria di Giovanna d’Arco: che è anche la nostra patrona, se par poco. La ricordiamo nella maniera che ci piace, con un racconto “laterale” del nostro Davide Gorga.

Tamburi per le vie di Reims; la musica si fondeva con la luce che spioveva benedicente sulla facciata della cattedrale e, all’interno, si tingeva dei cento colori delle vetrate, come una sovraterrena, stilettante armonia che avvolgeva la folla, i sacerdoti, il bianco stendardo vicino all’altare con i suoi gigli splendenti e la ragazza in piedi, le lacrime agli occhi, che guardava in tralice oltre le mura di solida pietra: la neve della partenza, il maggio della speranza, le voci e i colori di una Orléans in tripudio, nonostante la stanchezza, le ferite, il sangue versato. Ora il sogno era ancora più vivido, mentre in lontananza le mura grigie si fondevano con una nebbia innaturale e malsana; d’intorno, il bosco e i fiori che parevano essersi ammutoliti nell’attesa.

Gli zoccoli di un cavallo si fermarono a pochi metri, un cavaliere in armatura, il blasone a croci e leoni rampanti inquartati, ne discese e, levandosi l’elmo, si avvicinò: «Bastardo, la pattuglia è ritornata», gli annunciò, con quello sguardo obliquo da brigante che non lo aveva mai abbandonato.

Avvolto nel suo blasone dal lambello d’argento, fu tratto a forza dal suo fantasticare; arrotolò l’ultima pergamena siglandola velocemente col suo soprannome che era noto in tutto il mondo conosciuto, Il Bastardo d’Orléans, e che per lui era un segno d’orgoglio e di distinzione, e chiese, seccamente: «E allora!?»

«Niente da fare,» rispose l’altro; «la Porta di sant’Ilario è chiusa come una noce acerba! Se non la aprono dall’interno non potremo sfondarla, senza artiglieria.»

Il Bastardo annuì. Non stava comandando una campagna di guerra, ma una “impresa segreta”, come l’aveva definita suo cugino, il re Carlo VII, che si fregiava ormai del titolo di Vittorioso, ma che non era stato in grado di racimolare l’intera somma del riscatto di Giovanna la Pulzella; il Bastardo si era dovuto accontentare di meno di un terzo, tremila lire tornesi, ed era partito, sotto la bandiera di Xaintrailles, che ora gli stava dinanzi, per Rouen. Aveva sperato di sottrarre la ragazza ai suoi aguzzini durante uno dei trasferimenti di città in città che erano stati così frequenti, ma ora, a Rouen, tutto si era fermato in un’immobilità di nebbia e di rugiada che pochi uomini fidati erano riusciti a chiarire, infiltrandosi nella città e rivelando la più nefasta delle notizie: era in corso un processo dell’Inquisizione: se Giovanna fosse stata rinchiusa in una prigione della Chiesa, sarebbe stato impossibile salvarla. Ma guardando il sole ormai basso sull’orizzonte, che proiettava stralci di fiamme sulla città, il Bastardo fu preso da un’inquietudine mai provata prima, né quando era prigioniero, né sui campi di battaglia.

Chiese del vino a un suo attendente, e presto il mondo si stemperò come lavato dalla pioggia, e tra una cortina e l’altra riapparve luccicante la Loira, e i campi intorno alle sue rive, e una ragazzina che, preceduta da una lunga teoria di preti intonanti il Veni Creator, si era fermata a pochi passi da lui e lo aveva aspramente rimproverato:

«Siete voi il Bastardo d’Orléans?»

Jean de Dunois, ovvero il Bastardo di Orleans

«Lo sono, e mi rallegro del vostro arrivo.»

«Io non mi rallegro affatto!» aveva esclamato, incollerita di non essere stata inviata subito in battaglia; del resto, da giorni il vento era contrario alla navigazione sul fiume, ma quando il Bastardo glielo aveva fatto notare, la ragazza non aveva fatto altro che guardare la cima del suo stendardo: e il vento era girato immediatamente! Giorni lontani, giorni di poesia, giorni d’incanto! Un maggio di luce e di gloria in cui tutte le speranze, la fede, la gioia, si erano mutate in realtà, e l’arrivo di Giovanna era stato l’inizio di ogni meraviglia.

Il Bastardo tornò di malavoglia al bosco che scuriva nell’imbrunire, e si ritirò per la notte, ma non riuscì a prendere sonno facilmente. Infine chiuse gli occhi e, nei sogni, tornò a quella luce e a quell’incanto che così malvolentieri aveva abbandonato. Fu risvegliato all’alba. Il sole dietro di lui sembrava malato e inconsistente; la luce, flebile, era venata di sottili, alte, nuvole.

Xaintrailles gli annunciò che aveva predisposto, secondo i suoi ordini, una fitta rete di cavalieri appiedati nel tentativo di catturare qualche soldato inglese che si fosse arrischiato fuori le mura.

Il Bastardo assentì, e chiese altro vino. Il tempo sembrava non passare mai in quella fine di maggio malata e in cui persino il cielo aveva perso il suo splendore.

I soldati presero a strisciare sotto gli alberi, in un silenzio irreale, lasciandolo solo coi suoi ricordi, le imprese, la gloria, la libertà.

Infine, quando il mezzogiorno si avvicinava, una pattuglia scortava con sé un godon, un soldato inglese catturato appena fuori le mura, le mani legate dietro la schiena. I due cavalieri che lo affiancavano traducevano poco per volta, via via che le informazioni gli uscivano stentate dalla bocca, e d’un tratto il Bastardo sentì un brivido lungo la schiena: un’enorme quantità di legna era stata accatastata nella piazza del Vieux–Marché, e il palo rizzato al di sopra.

Il Bastardo non perse un istante: gridò a gran voce e radunò la compagnia ai suoi ordini: per strano che fosse, Xaintrailles era nell’avanguardia; non avrebbero potuto aprire una breccia nelle mura e, forse, sarebbero morti tutti: ma lo avrebbero fatto volentieri, senza esitare, per Giovanna.

Abbassò la mano per ordinare la carica, e mentre il cavallo prendeva velocità, un grido altissimo si levò dalla Città: «Gesù!»

Era la voce di Giovanna, anche da quella distanza, chiara e limpida come quella di un Angelo.

Un bagliore e un fumo improvviso si levarono da Rouen in una colonna che s’innalzava fino al cielo. Il Bastardo si fermò.

Le spade caddero dalle mani dei suoi uomini.

Arrivavano troppo tardi. Giovanna aveva raggiunto i suoi amici del Paradiso.

*   *    *

Sono trascorsi gli anni, e ognuno è stato celebrato dal Bastardo come un dono dall’Alto fatto da Giovanna, sino al momento in cui non avrebbe potuto rivedere il suo sguardo innocente, la pelle pura, i capelli corvini, al cospetto dell’Altissimo. Ora, agli ordini del re, è incaricato di prendere la città di Bayonne, ancora in mano inglese: più di vent’anni lo separano da quei ricordi, meno di  un pomeriggio è trascorso ai suoi occhi; eppure, mentre cavalca, riconosce un meraviglioso scintillare del cielo, quasi fosse trapunto di stelle in pieno giorno, quasi che il sole festante inviasse benedizioni e incanti sul mondo; ferma il cavallo nel mezzo della pianura erbosa e guarda in alto. Ed ecco: nel mezzogiorno sembra levarsi una bianca aurora: è una candida croce coronata che sovrasta il paesaggio e, a poco a poco, si trasforma in fiori di giglio che si disperdono come bianche farfalle nel vento.

Il bastardo si volta: sul limitare del bosco, una figura di un biancore abbagliante; in mano uno stendardo, sul viso un sorriso amico e raggiante: Giovanna la Pulzella gli indica la strada.

Dall’alto dei Cieli, la musica benedicente si riversa sulla terra, luce e suono al contempo, e il Bastardo ne è immerso, né mai più ne sarà abbandonato per tutta la sua vita.

Santa Giovanna d’Arco, Place de Pyramides, Parigi

Piedi di cerva sulle alte vette, di Hanna Hurnard

Ogni tanto, quando ci capita, presentiamo (e presenteremo) alcuni libri che ci sono piaciuti (al di là dei nostri, ovvio). La nostra Chiara Bertoglio ci presenta qui Piedi di cerva sulle alte vette di Hanna Hurnard.

Piedi di cerva sulle alte vette di Hannah Hurnard (ed. Gribaudi) è un libro decisamente sui generis e difficilmente incasellabile. È una narrazione della vita spirituale e mistica, ispirata al Cantico dei Cantici, e narrata in modo decisamente avvincente sotto forma di una specie di romanzo di formazione. I personaggi sono di vario tipo: c’è il Cristo, chiamato sempre “il Pastore”; gli altri personaggi sono invece allegorici, o meglio personificazioni di tratti del carattere delle persone o di problemi della vita spirituale. La protagonista femminile si chiama infatti Timorosa, e il suo cammino sarà ritmato da tappe progressive, spesso difficili e ardue, descritte con perizia letteraria, in cui gli ostacoli della vita spirituale sono simboleggiati da paesaggi ostili o di arduo superamento.

Ad accompagnarla, due guide che il Pastore le dona, e verso le quali dapprincipio Timorosa sente una profonda avversione; in realtà, camminando insieme, diventeranno amiche. Tutte e tre saranno trasformate dall’esperienza, in modo tanto radicale da cambiare persino il proprio nome.

Il fascino del Pastore seduce Timorosa, che viene raffigurata come la Sposa del Cantico dei Cantici – ma una sposa “in fieri”, per così dire, una sposa che deve conquistare, passo dopo passo, e nella collaborazione fra la Grazia divina e il suo impegno, quella bellezza che il Pastore ha visto in lei ben prima che fosse evidente a un osservatore obiettivo. Nonostante i difetti del suo carattere, tuttavia, Timorosa è mossa da un grande amore per il Pastore: amore che la spinge a “buttarsi” in un’avventura complessa, superando l’avversione dei suoi parenti, e diretta al paesaggio incantato delle Alte Vette, in cui sarà trasformata ma di fatto diventerà pienamente se stessa.

Se il linguaggio allegorico può dapprincipio lasciare un po’ perplesso il lettore di oggi (lo stile sembra un po’ mutuato dal Pilgrim’s Progress), l’autrice tuttavia ha un modo di narrare che conquista, e una profondità spirituale innegabile. Altro aspetto molto positivo del libro è la quantità dei riferimenti biblici, tratti soprattutto dal Cantico ma anche da altri libri dell’Antico e del Nuovo Testamento; essi conferiscono una solidità spirituale non scontata alla narrazione.

Il libro può quindi essere consigliato a chi si affaccia alla vita spirituale o a una scelta vocazionale, se si sente a suo agio con una narrazione simbolica, non del tutto consueta ma svolta con coerenza e intensità.

Le Strade

I nostri due lavori La Compagnia dell’Oste e I Sentieri del Nizhar nascono da un piccolo nostro gioco interno: a volte, presi da estro letterario, decidiamo di darci un bando per scrivere dei racconti attorno ad un particolare tema, o argomento, o spunto, e vediamo quel che ne viene fuori. Così nell’Oste ci siamo detti “ma perché non scriviamo ognuno un racconto che abbia il “fantastico” come filo conduttore?“, e con il Nizhar invece è andata “…e se scrivessimo un romanzo collettivo?“.

Tutto inizia così nel piacere di leggere qualcosa di nostro, e degli amici della nostra compagnia picciola.

Recentemente ci siamo impegnati in un concorso che è partito da questo presupposto: perché non scrivere ognuno un racconto di un particolare genere letterario? Ed eccoci impegnati e divertiti in racconti gotici e di fantasmi, ucronie, fantascienza, racconti surreali, ed altri ancora.

Ma non solo: nei giochi ci deve essere un vincitore, così abbiamo messo tutto ai voti. Ed a vincere è stato un delicato racconto che tocca il realismo magico, e che è un po’ Murakami, un po’ Miyazaki, un po’ Kore-eda (e non solo per il suo sfondo giapponese), a firma di Maria Finello, che abbiamo deciso di condividere con voi qui sotto (lo potete scaricare anche da qui).

Buona lettura!

Gli incontri a San Bernardino

Si è concluso l’itinerario quaresimale proposto dagli Inkiostri insieme con i Frati Minori francescani della Parrocchia di San Bernardino a Torino. Lungo quattro (più uno!) martedì di Quaresima, ci siamo avvicinati alla Pasqua posando uno sguardo contemplativo su alcuni oggetti che la simboleggiano, e che trovano un loro parallelo in altrettanti dettagli del Crocifisso di San Damiano.

Siamo partiti dalle “vesti regali e il grembiule”, riecheggiati nel linteum, il telo bianco bordato d’oro indossato dal Crocifisso di San Damiano. Seconda tappa con il gallo di Pietro, che, nel Crocifisso, secondo alcuni è un gallo, secondo altri una fenice. Il terzo momento ci ha portati a contemplare il velo della Veronica, insieme con le figure femminili del Crocifisso. Infine, nell’ultimo incontro, l’attenzione si è riversata su Longino e sulla sua lancia, che penetra il costato di Cristo, nonché sui soldati del Crocifisso.

Le parti introduttive sul Crocifisso di San Damiano sono state curate dai Frati di S. Bernardino, mentre gli Inkiostri hanno provato a raccontare qualcosa degli oggetti, facendosi aiutare anche dall’arte figurativa e dalla letteratura.

A conclusione dell’itinerario, una serata di meditazione e musica ha visto la partecipazione dell’ensemble vocale e strumentale del gruppo dei “Creativi”, giovanissimi musicisti che hanno proposto brani da Bach a Palestrina, da Tallis a Mozart, senza dimenticare Pergolesi con il suo incantevole Stabat Mater.

Ma tutto questo non ve l’abbiamo raccontato solo per farvi dispiacere se non avete avuto modo di partecipare… anzi! C’è ancora tempo per recuperare, sia vedendo i video delle serate che sono stati pubblicati sui canali YouTube di Vita Diocesana Pinerolese e della Parrocchia San Bernardino, sia leggendosi un prezioso (ma gratuito!) ebook freschissimo di stampa e realizzato dagli Inkiostri. L’ebook comprende anche una Via Lucis realizzata dagli Inkiostri per accompagnare il cammino verso la Pasqua e oltre la Pasqua.

Buona lettura, buon ascolto, ma soprattutto buona Pasqua!

Il Tolkien Reading Day: una bella cosa

Davvero una gran giornata, quella al nostro Tolkien Reading Day! Nelle delicate sale liberty di Villa Prever a Pinerolo abbiamo avuto modo di incontrarci, incontrare qualcuno dei nostri affezionati, e soprattutto fare qualcosa che ci piace davvero molto: ovvero parlare del nostro Professore!

Cinque conferenze (grazie ai presenti per la resistenza) che hanno un poco tracciato una sintesi dell’opera di Tolkien, a partire dalla sua vita e dai caratteri generali della sua scrittura (grazie a Chiara Nejrotti e Luisa Paglieri, le nostre imprescindibili signore), per poi percorrere a volo d’aquila il Silmarillion con Davide Gorga, quindi (un poco come accade in Albero e Foglia, siamo passati dal particolare al generale, e così dal generale al particolare) Valentina d’Antona e Daniele Barale ci hanno accompagnato in alcune pieghe del Signore degli Anelli, ed infine Chiara Bertoglio, Andrea Donna e il nostro amico Joram Gabbio hanno, ognuno secondo il proprio punto di vista, accumunato il Tolkien Reading Day con un’altra ricorrenza del 25 marzo, il Dantedì (nessun maggior piacere, che ricordare un doppio tempo felice, nella buona sorte, si potrebbe dire). Al termine di giornata (abbiamo sforato un botto coi tempi!) Maria Finello e Patrizio Righero hanno un poco parlato ai presenti del nostro gruppo, e del nostro ultimo lavoro, I Sentieri del Nizhar.

Gli interventi (lo potete vedere dalle gustose foto qui sotto) sono stati accompagnati dalle musiche interpretate da Patrizio, Chiara e Giovanni Bertoglio (che potete ammirare in virile tenuta plantageneta) e dalle ipsissima verba di Tolkien, interpretate dai bravi studenti dell’Istituto Maria Immacolata e dal Liceo Porporato (grazie quindi a Federico, Luca, Emanuele) e da Elisabetta Florence. Ma non solo! Lungo tutto il pomeriggio abbiamo avuto anche un laboratorio per bambini tenuto dalla nostra Erica Gavazzi, e dalla illustratrice Cristina Besso.

Insomma, ci s’è dati da fare, ed è stato bello.

Continuate a seguirci, viva sempre il Professore, vivano le Storie!

Evviva (san) Patrizio!

Per molti motivi siamo affezionati all’Irlanda, ed agli irlandesi, the great Gaels of Ireland, that God made mad, for all their wars are merry, and all their songs are sad: per questo è il nostro (non è il solo, prima o poi ci arriviamo) santo patrono.

Dio benedica l’Irlanda, San Patrizio, Santa Brigida e San Brendano, il Connemara e le scogliere di Moher, i Túatha Dé Danann e Tír na nÓg, W.B. Yeats, Séamus Heaney e Shane MacGowan, la Guinness e il Libro di Kells, Cillian Murphy ed Enya, l’arpa e il trifoglio, le banshee e il leprecauno, Brian Boru e Michael Collins!

A San Bernardino, a Torino

In questo tempo di Quaresima, noi Inkiostri partecipiamo a un’iniziativa organizzata dalla Parrocchia di S. Bernardino, dei Frati Minori, a Torino. Si tratta di un percorso in quattro serate più una conclusiva, che si tengono nei martedì dal 28 febbraio al 28 marzo compresi, alle ore 21. Nei primi quattro incontri, alcuni nostri sodali creeranno e presenteranno delle meditazioni che, a partire da “oggetti” che si incontrano nelle narrazioni evangeliche della Passione di Cristo, possano aiutarci a entrare più profondamente nel mistero pasquale, anche in dialogo con la letteratura e l’arte che caratterizzano la nostra in modo più evidente. Le serate sono aperte dall’intervento di uno dei frati francescani della parrocchia, che a sua volta individua un elemento del Crocifisso di San Damiano legato alla tematica della serata.

Croficisso di Santa Chiara
Basilica di Santa Chiara, Assisi

Il primo incontro si è tenuto il 28 febbraio: Chiara Bertoglio ha parlato del contrasto fra le “vesti regali” di Cristo e il grembiule (o meglio l’asciugamano) della lavanda dei piedi. La sua meditazione, che potete trovare qui, è stata introdotta da una presentazione in cui fra Francesco Grassi ha spiegato il significato e l’importanza del linteum, il “panno” indossato dal Cristo crocifisso nell’icona di San Damiano.


Il prossimo appuntamento è previsto per martedì 7 marzo, in cui il tema sarà quello del “gallo” che annuncia il rinnegamento di Pietro; a presentarlo saranno Ives Coassolo, Davide Gorga e Giovanni Soppelsa, mentre la fraternità di S. Bernardino sarà rappresentata da Fra Dario Fucilli. Gli appuntamenti successivi si concentreranno sullo sguardo femminile (a cura di Maria Finello ed Erica Gavazzi, il 14 marzo) e sulla lancia del soldato (Daniele Barale, Valentina D’Antona, Chiara Nejrotti e Patrizio Righero), con la partecipazione di Fra Raffaele Casiraghi.

Infine, il 28 marzo, un “concerto-meditazione” animato dalla nostra sezione junior, i “Creativi”: brani musicali fra cui pezzi dallo Stabat Mater di Pergolesi, l’Ave verum di Mozart, brani di Bach, Palestrina e Tallis saranno suonati e cantati da un giovane ensemble, in alternanza a meditazioni tratte dai Vangeli della Passione. Vi aspettiamo numerosi, e nel frattempo ecco qui il video del primo incontro!

Il potere delle storie


A tutti noi piacciono le storie (siamo qui per questo, in fondo). Riportiamo qui un breve saggio della nostra Chiara Nejrotti, tratto da una conferenza tenuta al Raduno – San Marino Tolkien Fest, nel 2017.

“Voi siete le vostre storie. Siete il prodotto di tutte le storie che avete ascoltato e vissuto … Hanno modellato la vostra visione di voi stessi, del mondo e del posto che in esso occupate.”[1]

Ne Il Signore degli Anelli, nel capitolo intitolato Le scale di Cirith Ungol[2], si svolge un dialogo tra Sam e Frodo sul potere delle storie.  I due Hobbit si trovano in un paesaggio desolato e maledetto, su una via  che appare sempre più senza speranza e a questo punto Sam ripensa agli antichi racconti ed ai loro protagonisti: storie di coraggio e di valore ma soprattutto di perseveranza, poiché gli eroi non sono tali in quanto vanno in cerca di avventure e di glorie ma perché, pur trovandosi coinvolti in qualcosa che non hanno cercato, non tornano indietro, non si sottraggono, pur avendone magari l’occasione. Si accorge poi che la loro vicenda non è che l’ultimo episodio di un’unica grande storia che si dipana nel tempo e che continuerà anche dopo di loro.

Oltre a distruggere anelli, trovano il tempo anche di parlare del senso delle storie

Parlare delle antiche saghe e dei loro eroi e riconoscersi come parte di un unico grande racconto dà ai due hobbit la forza e la speranza  di continuare il cammino; in precedenza, a Colle Vento, Aragorn aveva cantato per la Compagnia il Lay di Beren e Luthien, perché avrebbe potuto infondere coraggio di fronte alla paura suscitata dai Nazgul; in entrambi i casi si evidenzia come i racconti abbiano un grande potere su chi li ascolta.

Noi siamo perciò anche l’esito delle storie che abbiamo ascoltato e che abbiamo letto; il racconto infatti permette l’immedesimazione, raggiunge la nostra componente emotiva, oltre a quella razionale e così facendo forma il carattere, ossia la volontà e la coscienza morale, ossia la capacità di compiere delle scelte che non siano delle semplici reazioni.

Secondo Bruno Bettelheim, psicoanalista freudiano che per primo ha rivalutato le fiabe tradizionali nell’educazione  infantile, il bambino non si domanda che cosa sia giusto o sbagliato, ma “A chi voglio assomigliare?”[3]  Per questo la narrazione che mostra le conseguenze delle azioni dei personaggi e le loro scelte  è molto più educativa di qualsiasi morale esplicita.

Silvana De Mari in Il Drago come realtà sostiene che i poemi epici, che sono il proseguimento delle narrazioni orali delle gesta degli dei e degli eroi dopo la nascita della scrittura, «servono a dare coraggio nei momenti bui»[4] perché ricordano l’appartenenza ad una comunità e ad un popolo; nell’antica Grecia, ad esempio l’educazione dei giovani alle virtù si basava sui poemi omerici.

In secondo luogo, proprio come Sam, ciascuno di noi può riconoscere di far parte di una trama che ci precede e continuerà dopo di noi e che perciò la nostra esistenza, che ci conduca a realizzare grandi imprese o che si svolga in modo apparentemente nascosto, acquisisce comunque un significato, riconoscendosi come un frammento del vasto arazzo della storia umana.

Secondo l’antropologo Levi-Strauss il mito struttura la realtà, poiché le attribuisce un ordine ed un senso, laddove ci sarebbe soltanto disordine e caos, ma ciascuno di noi ha bisogno di crearsi il proprio “mito” personale e la propria visione del mondo: le storie con cui siamo cresciuti ci aiutano a costruirli.

Nel saggio Sulle Fiabe[5] Tolkien espone teoricamente il valore della narrazione ed in particolare di quella che si serve della fantasia come risposta ad alcuni bisogni fondamentali dell’umanità: Riscoperta, Evasione, Consolazione, per concludere con il diritto alla “subcreazione” , in quanto creiamo miti, fiabe e racconti imitando il Creatore ed in essi tralucono e baluginano frammenti dell’unica Verità da cui proveniamo e a cui aspiriamo.

On Fairy-Stories, di J.R.R. Tolkien

Le popolazioni arcaiche hanno fondato la propria esistenza sui miti, ossia sui racconti che hanno per protagonisti gli dei e gli eroi fondatori; le loro gesta compiute in un Tempo Sacro che precede ogni temporalità storica devono essere continuamente rinarrate per far riaccadere quegli eventi e sacralizzare il tempo profano. Ma i bardi, i cantastorie e i grìot trasmettevano ai loro uditori anche un ricco patrimonio di storie umoristiche, fiabe e aneddoti, altrettanto importanti poiché fondativi della comunità, da un punto di vista psicologico oltre che sociale.  

Negli ultimi decenni l’uso dei racconti ed in particolare delle fiabe in psicoterapia, ha avuto un notevole sviluppo, non soltanto nella cura dell’infanzia. Molte terapie di matrice junghiana e/o derivanti dalla psicologia umanistica e transpersonale ritengono che la narrativa fantastica costituisca un luogo dove conscio ed inconscio possono incontrarsi; il linguaggio simbolico delle fiabe risveglia l’esperienza individuale e la tramuta in atto spirituale, in una conoscenza della realtà che sappia oltrepassare l’apparenza, La narrativa, e quella fantastica in modo privilegiato, mette in scena gli archetipi, ossia i modelli ancestrali della psiche presenti nell’inconscio collettivo, ed in tal modo sviluppa le possibilità di guarigione della psiche stessa. Inoltre i racconti sviluppano il pensiero simbolico e  analogico che ci consente di immaginare ed essere creativi.

L’Autore della citazione iniziale, Daniel Taylor, nel suo saggio Le storie ci prendono per mano  ci ricorda come il più grande desiderio umano sia che la vita abbia un senso: questo desiderio di significato è l’impulso che dà origine a ogni storia; e Clarissa Pinkola Estés , psicoanalista e  cantadora, afferma: “ alle grandi questioni esistenziali, soprattutto se riguardano il cuore e l’anima, il più delle volte si risponde narrando una storia”[6].


[1] D.Taylor, Le storie ci prendono per mano,Frassinelli, Milano 1999

[2] J.R.R.Tolkien, Il Signore degli Anelli, Bompiani Milano 2003

[3] B.Bettelheim, Il Mondo incantato, Feltrinelli  Milano 1980

[4] S. De Mari, Il Drago come realtà, Salani, Milano 2007

[5] J.R.R.Tolkien, Sulle Fiabe, in Albero e foglia, Bompiani, Milano 2004.

[6] C.Pinkola Estés, storie di Donne selvagge, Sperling & Kupfer, Milano 2008, p.11

Incipit

Ogni tanto tra noi facciamo dei concorsi letterari. Concorsi veri e propri, con un bando, un regolamento (la cui interpretazione di solito è abbastanza flessibile), scadenze, fase di voto, proclamazione dei vincitori: scritto così sembra gran cosa, in realtà è tutto molto familiare e divertito. Delle volte questi concorsi portano a dei risultati più concreti (La Compagnia dell’Oste e I sentieri del Nizhar sono nati così), altre volte si esauriscono nel piacere di avere scritto e letto qualcosa ed esercitato un poco l’artigianato creativo.

Ultimamente ci siamo approcciati ad un preciso genere letterario: quello dell’incipit. Ogni grande romanzo ha un grande incipit (si tratti di tizi che vagano in una selva oscura, capi achei di cattivo umore, languide discussioni francofone in palazzi pietroburghesi, conigli in ritardo che finiscono dentro una tana), ma scrivere un grande romanzo è spesso un grosso impiccio: più pigramente, ci siamo limitati a pensare le prime pagine di una storia, immaginando che quella storia fosse poi esistente.

Se ci seguite su Facebook avrete già visto qualcosa: abbiamo chiesto ai nostri aficionados di leggere (se ne avessero avuto il garbo ed il piacere) i nostri incipit (li trovate anche ora sul nostro sito. Se non li avete letti: correte!), ponendo a tutti una domanda: quale preferireste venisse poi scritto per davvero?

Ci avete dato una risposta! Il prescelto è…

Le lucciole“, di Patrizio Righero!

Lo vedremo mai per intero, un giorno? E chi lo sa, chi lo sa!